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tanto da poter entrare in Val di Taro e giungere, come si è detto, a Borgotaro.

Anche di questa linea si può dire, come delle altre di cui fu detto or ora, che ha il difetto capitale di immedesimarsi in parte con altre ferrovie, che già traversano l’Apennino. Difatti, se essa, a differenza di quelle che si vorrebbero far partire da Bronco, si diparte propriamente da Genova, va però ad innestarsi a mezzo cammino della Parma-Spezia; venendo così ad identificarsi con questa per tutto il tronco da Borgotaro a Parma, che misura oltre 60 chilometri, e non rispondendo perciò alle esigenze di una grande arteria transapennina, che vuol essere in via assoluta indipendente.

Come poi, terminando essa a Borgotaro, vi ritrova una linea esercitata dalla Società Mediterranea, che ne deve essere l’obbligato prolungamento, ne consegue la impossibilità dell’intervento di una nuova Società, l’impossibilità quindi della concorrenza, di quanto cioè è universalmente desiderato come rimedio sovrano all’insufficienza del servizio ferroviario del porto di Genova.

È superfluo l’aggiungere che una linea, che attraversa obliquamente, anziché in direzione normale, la catena dell’Apennino, e che sbocca sulla via Emilia a Parma, riesce tanto eccentrica rispetto a Piacenza, che non si può in nessuna maniera, neppure con sacrifici di tariffe, servire il grande emporio del traffico dell’Alta Italia, Milano1, e non può poi, è evidente, rispondere alle esigenze della piazza militare di Piacenza.

  1. Mentre colla linea per Val di Trebbia si hanno 116 chilometri da Genova a Piacenza, col progetto del Taro si dovrebbero percorrere, per giungere alla stessa destinazione, chilometri 188.