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la donna e il lavoro 95


vecchiavano con la dolorosa persuasione di aver mancato lo scopo della vita.

Oggi il lavoro ha aperto a queste donne largo campo di attività e l’anima loro se ne è arricchita così, che per talune l’opera da compiere, sia intellettuale o sociale, assorbe tutte le forze e non lascia posto ad altre aspirazioni. Pur tuttavia la donna, che non è moglie e madre, è ancora considerata socialmente un non valore.

Che si debba nella donna educare la madre è giusto: Ester Danesi Traversai, nella seconda conferenza, ha dimostrato di quanto bene potrà esser sorgente per la madre futura un’educazione più larga e più seria. Voglio però aggiungere che il concetto, secondo il quale si considera la maternità come il fine unico ed esclusivo di una vita femminile, a me sembra ormai sorpassato. Annullare la personalità umana della donna, per valorizzare soltanto la personalità materna, è opera crudele e pericolosa. Crudele, perchè la donna che tenderà ad un’unico scopo, non dipendente sempre dalla sua volontà, e se lo vedrà sfuggire, si sentirà infelice: pericolosa perchè la felicità è per le anime di medio calibro (che sono poi la maggioranza) la più sana garanzia di armonico sviluppo delle qualità migliori. L’essere scontento, amareggiato, facilmente diventa cattivo. E non vi è chi non veda come sia insano fomentare aspirazioni, il cui raggiungimento spesso s’influenza a furia di compromessi col meglio che è in noi. Un solo scopo noi possiamo dare alle nostre aspirazioni, senza tema di sbagliare: lo scopo di sviluppare armonicamente le nostre facoltà morali ed intellettuali per arricchirne il nostro mondo interiore, per metterle a servigio dell’opera a cui saremo chiamati, qualunque possa essere. E poi oggi la donna