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XXIII |
parzialità della legge non iscusa, nè la debolezza del muscolo che non sarà mai equa base di diritto, nè l'ignoranza che si può vincere, nè V incapacità ch’è sempre affermata, provata non mai.
Che se talora, discutendo lo spirito delle nostre istituzioni avverrà, che la penna distilli qualche amarezza, dichiaro anticipatamente non aver io rancore con ninna personalità al mondo, ma scaturire queste involontarie dal vedere, quanto sia impossibile all’uomo astrarre da’ suoi personali interessi anche quando si dà ad intendere di far di proposito della giustizia, e questo spirito d’egoismo salire fino a mala fede, quando l’essere che si afferma debole ed incapace per ispogliarsi di diritti, si riconosce forte e responsabile per gravarsi di pene e di doveri.
È assai possibile scrivere con più calma e con maggior freddezza; ciò servirebbe anche forse ad attirare sul mio argomento le grazie degli uomini serii, che varcata l’età delle passioni, le persone e le cose tutte guardano con filosofica ed imparziale apatia. Ma a me, giovine e donna, è pur lecito non far a pugni colla natura che si è in questo argomento alleata ai più vitali interessi, epperò non violentandomi affatto, parlo come penso e sento, persuasa e convinta di essere fedele interprete dei pensieri e dei sentimenti di molte del mio sesso.
Le considerazioni fatte sulla situazione creata alla donna da leggi, che ancor troppo risentono lo spirito del secolo che precedette il 1789, mi conducono naturalmente a chiedere delle riforme che, se sono limitate, hanno in compenso il vantaggio di essere possibili, ed è in: me profonda la convinzione, che un miglioramento nelle condizioni presenti della donna, non è vantaggio suo soltanto, ma altrettanto e più dell’umanità, che in tanta parte della donna si compone ed in altrettanta da lei dipende ed è influenzata.