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fetto, quando anche non è identico a quello dell’uomo.

Questa disistima della produzione femminile fa sì, che la donna debba starsene per una misera mercede da mane a sera inchiodata ad un lavoro penoso, non guadagnando talora pur tanto da levarsi la fame.

E negli stabilimenti d’industria e di speculazione non è ella cosa convenuta, che la donna debba al par dell’uomo affaticare e produrre per una mercede essai più scarsa?

Nè si dica, che la donna ha meno bisogni. In regola generale il lavoro dev’essere retribuito in ragione del suo intrinseco valore, e non già in vista del maggior o minor bisogno dell’operaio. Che se amano carità e filantropia largheggiare nella mercede là dov’è urgente e grave il bisogno, vuole la più elementare nozione di giustizia, che l’opera sia retribuita per non meno di quel che vale.

D’altronde, che cosa significa questo che la donna ha meno bisogni?

Quando si tratta di darle l’esercizio d un diritto, allora diventa, la donna, la creatura dai mille bisogni e dalle molteplici esigenze. Allora vengono in campo le frequenti malattie, le perpetue lesioni nervose, le crisi inevitabili, i lunghi squilibri, e si vuol vedere uno stato morboso e patologico perfin nelle leggi puramente fisiologiche, che reggono il suo modo d esistenza, per dimostrarla impotente, non che a muoversi dal suo scanno, neppure a far atto di presenza ad un atto legale di nascita o di matrimonio, sprofondata in un seggiolone.

Ora, questa creatura, che si vuol fragile come una piuma di cigno, diviene, ad un tratto d una potenza erculea per affaticar tutto giorno come l’uomo, e meno di lui retribuirsi.