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Ora queste riflessioni ci portano naturalmente ad esaminare la donna in faccia al diritto di educazione e di istruzione, riconosciuto siccome diritto morale e giuridico.
Io non dubito punto che, in una società illuminata ed educata al culto del vero e del giusto, basti gettare in mezzo un problema che soluto volga in meglio la sorte di pochi o di molti, perchè tosto divenga la tesi di simpatia per tutte le anime generose, e per voi poi, signore colte e gentili a cui io parlo, un punto, fisso di direzione.
Ebbene, la tesi ch’io vi pongo a tutti, è l’educazione della donna.
La donna ha, come essere umano, diritto morale e giuridico di educazione e di istruzione.
Più, la proprietà femminile paga imposte al par della virile; ma siccome lo Stato non ha per lei educazione pubblica, non scuole tecniche, non ginnasii, non licei, non università; dunque lo Stato è colpevole, verso la donna, di furto.
Come proprietaria e contribuente, ha diritto d’equità, ad educazione assai più solida, ad istruzione assai, più larga, che quella non sia che le è impartita oggidì.
Ed invero, chi oserebbe asserire che vi sia, al dì che corre, per la donna un’educazione, quando non si voglia chiamar tale ciò che in fatti non lo è; voglio dire la reclusione di quattro, sei, otto anni in un convento, cioè in un mondo artificiato, escendo dal quale non si può meglio dirsi educato, di quel che possa chiamarsi acclimatizzata una pianta di papiro in una serra d’Italia?
Chi oserebbe asserire, che v’abbia oggidì per la donna un’istruzione, quando non si voglia