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della ragione, si aggiunge debolezza al debole gravandolo di doveri, si aggiunge forza al forte circondandolo di diritti.

Laddove poi si consideri avere la legislazione come ogni altra istituzione ormeggiato lo sviluppo dei popoli ed i procedimenti delle civiltà, andranno necessariamente crescendo le meraviglie, trovandoci in grado e necessità di constatare la universale incoscienza della giustizia.

Ma poteva egli essere altrimenti, dacchè la filosofia non cercò e non istabilì una base generale di diritto, che soggiogando gl’interessi, ed ispirandosi ai principii, s’imponesse prepotentemente alla ragione, e si erigesse a coscienza universale? Epperò i legislatori, privi di luce ferma e costante a dirigersi, dovettero meschinamente ispirarsi ad interessi puri e semplici di luogo e di tempo, imponendo così all’opera loro il marchio fatale della caducità.

Infatti veggiamo apparire evidente dalla storia della legislazione questa enorme lacuna ch’ella è la nessuna base del diritto, risultando per lo appunto le istituzioni le voci dei bisogni di un giorno e di un paese, anzichè i logici corollarii di un concetto unico e fermo.

Ed invero, in faccia ad una base filosofica del diritto, che cosa avrebbero significato i diritti feudali?

Dove si sarebbero fondate la signoria e la schiavitù personale?

Sopra di che avrebbe potuto giustificarsi la patria e la maritai potestà dei romani, per le quali la repubblica non riconosceva a cittadini che i capi di famiglia, non tutelando neppure la vita e la libertà delli altri membri?

E qual logica analogia troviamo fra la forma reppubblicana del governo e la fama autocratica della famiglia romana?