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mando'degrada radicalmente la donna; che una savia apprezziazione dell’ordine universale farà comprendere al sesso affettivo, quanto la sommissione importi alla dignità... Che il sacerdozio (dell’avvenire) farà sentire alla donna il merito detta sommissione, sviluppando quest’ammirabile massima d’Aristotile «la forza primaria della donna consiste nel superare la difficoltà dell’obbedire» e l’educazione l’avrà preparata a comprendere, che ogni dominio, lungi dallo elevarla realmente, la degrada necessariamente.

Leggo Proudhon, ed a traverso i suoi mille paradossi, ed alla sua non interrotta serie di contraddizioni, veggo affacciarsi tratto tratto questi concetti: Affinchè il tipo femminile conservi le sue grazie ed i suoi vezzi, deve la donna accettare la potestà maritale (sic!). L’eguaglianza di diritti la farebbe odiosa, e trascinerebbe con sè delle deplorevolissime conseguenze, e, fra le molte a mo’ d’esempio, la piccola bagatella della perdita del genere umano!!! (Lettrici mie, non ve ne impressionate di troppo!).

Leggo Michelet ed a traverso torrenti di poesia e di sentimento, in un impeto d’amore per la donna egli, la vede fatta dall’uomo e per l'uomo. Dolente di vederla sofferente e malata (la donna di Michelet è sempre malata) egli vede la necessità d'isolarla, di custodirla, di medicarla. Bambina non conoscerà che le sue poppattole; maritata, non vedrà che il marito ed i figli; vedova, gl’infermi e gli orfanelli. E di coltura? Non se ne parla. Il sapere la invecchia. E di lavoro? Nessuno. Si romperebbe tutta. D’altronde la manutenzione della cosa tocca al proprietario della cosa. E di funzioni? Non ne è questione. La donna di Michelet è una donna che adora suo marito, che è fatta da lui, che vive per lui, per lui solo, e che finisce poi probabilmente per morire di con-