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Fatta finalmente prigioniera, Baodicea si tolse col veleno all’onta della servitù.
Allorchè la Signoria Turca minacciava di estendersi in Ungheria ed in Italia, le donne, paventando la vergogna del serraglio, spiegarono una energia, ed un valore di cui non sempre furono capaci i più intrepidi eroi. In una città di Cipro frammischiate ai soldati respinsero i Turchi combattendo sulle aperte brecce. Nell’isola di Lenno una donzella, imbrandita la spada e lo scudo dello spento genitore, arrestò i Turchi che già forzavano una porta, e li respinse fino al mare. Le Ungheresi fecero miracoli di valore nelle battaglie e negli assedii contro i Musulmani; le donne di Rodi e di Malta gareggiarono colle Ungheresi e le superarono per la persistenza del loro freddo e paziente coraggio. Così gli annali di quella nazione, come la storia della Veneta Repubblica, sono zeppe dei nomi di donne che eclissarono la gloria dei più prodi cavalieri.
Immolare per la patria la vita è cosa tanto comune all’uomo quanto alla donna. Agesistrata, madre di Agide re di Sparta, appendendosi da sè stessa al capestro al quale la dannava l’Eforo Anfare diceva «Volentieri muoio se ciò può giovare a Sparta».
Aretafila (contemporanea di Mitridate) tentò ogni via di liberare la patria sua Cirene dalla tirannia di Nicocrate. Benchè questi le fosse amante appassionatissimo e marito, pure veggendo ella soffrire il suo popolo non sapea consolarsene. Vedendo che niuno sorgeva a vendicar Cirene, tentò ella stessa il colpo, ma fallitole e sottoposta ad ogni fatta di tormenti, non però confessò il fatto, finchè Nicocrate, che pur sempre l’amava, si pentì d’averla fetta soffrire, e tentò consolarla con ogni onore e cortesia. Ma Aretafila fissa nel proposito di liberare l’afflitta