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chè cessa col popolo d’essere partito e setta, e diviene coscienza universale. Ma mentre ognuno, per poco rifletta, è forzato d’ammettere la vera sovranità del popolo, pure, illusi dalle apparenze, sedotti noi dalla lunga abitudine di guardarlo dall’alto, ed egli stesso avvilito della sua povertà, abrutito dalla lunga servitù e dallo spregio, perde ogni senso di dignità e tenta stordire i bisogni, ed attutire i dolori, abbandonandosi inerte alla miseria, affogando nelle orgie la troppo scarsa mercede d’improbe fatiche, donde poi sempre più misero n’esce ed abrutito.
Eppure questo colosso, i cui fermenti fanno talora impallidire i tiranni, e che, spinto al colmo d’ogni sua pazienza, si erge gigante, recide teste coronate, intere caste travolge nei flutti dell’ira tremenda, e di tutta una regione non lascia che un oceano di sangue, nel quale si affoga la tirannide di tanti secoli (e così bene, che niuno sforzo di potere o di casta saprà tutta risorgerla) questo terribile elemento non si cura, non si educa, non si tenta dargli alcun principio, non si rispetta, e non si smettono sul conto suo pregiudizii ch’egli così ben vendicò sui padri nostri.
Urge, e sommamente urge che il popolo s’illumini, si civilizzi, senza di chè vane saranno le nostre aspirazioni alla prosperità nazionale. Indarno tentano svolgersi, in seno alla libertà, libere istituzioni, se, applicato poi, trovansi gravide di disordini per la incoltura del popolo. Indarno noi guardiamo ansiosi ed impazienti ai confini che Iddio segnava al bel paese struggendoci in desiderii, se il popolo non sarà convinto, che combatte per interessi suoi, e per migliorare le sue misere condizioni.
Forse avravvi fra voi, lettrici mie, taluna, santamente desiderosa del bene, e che a null’altro aspira che a vedersi tracciata una via; poichè