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scorsi secoli nei quali ogni convento (e ve n’erano ad ogni svolto di via) vedeva ogni mattina raccôrsi sotto gli esterni portici una sterminata quantità di mendici d’ambo i sessi, e di tutte le età, che aspettavano la quotidiana limosina. Che ne derivava da ciò? Ne derivava, che la maggior parte della umanità nelle nostre contrade vivesse pendente dallo arbitrio dei meno; ne derivava, che tutte quelle misere genti fossero serve consacrate di quei signori; ne derivava, che intere popolazioni non per altro vivessero che per stendere umile e timida la mano alla scodella limosinata, curvarsi fino a terra all’aspetto di un frate, baciar servilmente il lembo della sua tonaca e la corda della sua cintura. Ne derivava, ch’elleno si educassero al sentimento demoralizzatore della propria nullità, alla tolleranza della più provocante tirannide, all’ozio eterno donde la miseria perpetua.

Lo stesso avveniva intorno ai forti castelli dei signori, dove una pietosa faceva distribuire costanti e quotidiani soccorsi. Quei costumi erano fatti per perpetuare il dispotismo feudale e la schiavitù personale. Come avrebbe mai potuto quella plebe emanciparsi dalla sistemata concussione de’ suoi signori, senza cominciare dal rifiutare il loro pane, e dal vivere senza la loro sprezzante limosina? Ed ecco ciò che si fece, ed oggi quei terreni, che allora erano incolti, sono ricchi ed ubertosi, e l’agricoltore mangia il pane sudato all’ombra degli alberi da lui piantati, ed accosta il ricco colla fronte alta dell’uomo che nulla cerca, fuorché il credito suo.

Ora, diminuite le proporzioni e l’accatonaggio, in faccia ai principii dell’umana libertà e dignità, presenta tuttavia la sconvenienza medesima. Soccorriamo al corpo provvedendo il lavoro, suppliamo alla debole potenza dell’operaio largheggiando