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«Dice lo Poveta» Perchè rovinare questa povera parola? Noi in dialetto diciamo poeta come il toscano e non poveta o pojeta, come si riscontra in qualche cattivo scrittore napolitano. Leggansi le opere di G. C. Cortese stampate in Napoli 1566. Lo stampatore a chi legge e si troverà sul bel principio: «Non fece accossì lo famuso Giulio Cesare Cortese, che appe sale a la cocozza, pocca pe dechiararese figlio d’Apollo, zoè bravo poeta, voza fa lo Viaggio de Parnaso etc.
«E pecchè cierte animale feruce le mpedesceno de saglì ncoppa’a na collina». Collina non esiste in nessun dizionario del dialetto; si può consultare il Galiani, Puoti, Gargano, Greco, De Ritis, Guacci e Taranto, Meli, Carfora, Manzi, Casillo, Brascello, Cimmino, Melga, Villani etc; nè è voce d'uso; invece montagnella.
«Che Ile promette de farete vedere lle pene» (la forza deve cadere sul p e non su l’e) «de lo Nfierno, poje (doppo) lo Purgatorio (priatorio) e che all’urdemo sarria portato da Biatrice (Viatrice) dinto a lo Paraviso. E isso jette appresso a Vergilio (a Bergilio)».
Ciò basti per ora, nel prossimo numero cominceremo ad esaminare i versi.
N.° 23.
La Comare, giornale delle donne, quotidiano di Napoli, nel suo n. 119, anno I° in data 19 agosto 1867 pubblicò il seguente articolo:
Dobbiamo un elogio al nostro bravo scrittore Domenico Jaccarino: il suo Dante popolare gli fa riscuotere applausi universali; continuate la tradizione del nostro Valletta, giovine egregio, ed i napoletani, di cui conservate il dialetto espressivo, vi saranno riconoscenti di tutto cuore: ad essi non resta ora, che quello che rimaneva al Cristo su la croce — la lingua: speriamo che il Sodalizio letterario che egli va a fondare abbia piena riuscita, e che i suoi studi siano coronati da esito felice. Raccomandiamo alle Comari di leggere la sua plaudita traduzione della Divina Commedia, e ci sapranno grado del consiglio.
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