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D. Ciccio diceva, che non v’era chi ci cogliesse al par di lui, nel dar la sentenza.

lxxxvii.
D.
Ciccio, da più d’un ne vien ridetto,

     Che spesse volte vostra signoria
     Impregnata di fasto, e d’albagia,
     4Si gloria del suo lucido intelletto;
E che nel dar delle sentenze ha detto,
     Che tra’ vostri Colleghi or non si dia
     Chi quanto voi ci coglia, e che non sia
     8Veruno infra di lor da starvi a petto.
Or noi cotesta vostra pretensione
     Ben volentier ve l’ammettiam: ma poi
     11Ne caviam l’infrascritta Conclusione —
Quei, ch’assai beve dicesi un bevone,
     Mangion, quei, ch’assai mangia; e così voi,
     14Che ci coglierete assai, siete un C....


Instabilità delle cose sottolunari.

lxxxviii.
I
L mar, che dianzi orribile fremea

     Fu da placide calme al fin placato,
     E ’l fiumicel, che tiepido correa,
     4Frenò, stretto dal gelo, il corso usato;
La vè con rosea bocca in braccio al prato
     Primavera gentil dianzi ridea,
     Or piange il verno; e d’ombre appar velato
     8Il Ciel la vè già lucido splendea.
Così nulla è quaggiù sotto la Luna,
     Che talor non si cangi, o non si stempre
     11Per ingiuria di Tempo, e di Fortuna.
Sol tu, senza mutar costumi, o tempre,
     Senza patir variazione alcuna,
     14Sei quel D. Ciccio, e quel C.... di sempre.