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La Cecità di D. Ciccio.
Al Sig. Napoleone della Luna.

xlii.
L
Una, al pover D. Ciccio i lumi oscura,

 Son già due mesi, un catarroso velo,
     Sì, che stiam con grandissima paura,
     Che mai più non rivegga i rai del Cielo:
     4Or, come il cieco là dell’Evangelo
S’affligge in tanto, e lagrima, e scongiura,
     Ma l’offese pupille il Ciel non cura,
     8E non si muove alle sue voci un pelo.
Ei però non dovria, come far suole,
     Del Ciel dolersi, e in simili afflizioni
     11Tediarlo ogn’or con supplici parole;
Mentre ogn’un sa, che sogliono i C....
     Senza già mai veder luce di Sole,
     14Viver sempre all’oscuro entro i calzoni.


D. Ciccio aborrito.

xliii.
U
Dite in cortesia nè vi piccate,

 Non so se sia difetto naturale,
     O pur derivi ciò da qualche male,
     4Di cui per caso insolito patiate.
Cert’è, D. Ciccio mio, che voi puzzate
     A tutti della Curia in generale,
     E che puzzate loro in guisa tale,
     8Che torce il naso ogn’un quando passate.
E’ ver, che sete d’una condizione
     Da dare un odorifero ristoro
     11Al naso d’ogni sorte di persone.
Ma questo non fa punto al caso loro;
     Ch’essi vi tengon ben per un C.....
     14Ma non tutti i C .... son di Castoro.




La