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A D. Ciccio, che trovandosi in un festino andava scusandosi colle Dame di non averci potuta condurre la sua Signora Consorte perchè stava male.
xvi. Per sua cattiva sorte
Stia mal, come affermate,
4Senza che lo giurate ogn’un di noi
Per se medesimo il sà;
Ma ’l Diavolo sarà, per quanto veggio,
Che maritata in voi,
8Ogni di starà peggio.
Il Papagallo.
Al Sig. Segretario Gio: Maria Borea.
Dove si vede in sul balcon quel vostro
Indico Augel, che le sue piume ha sparte
4Di color varj, e ha purpureo il rostro,
Stupì; ma più quando sentì, ch’ei parte
La voce sì, che sembra il parlar nostro,
E non capia, che la natura, o l’arte
8Formar potesse un sì mirabil mostro.
Io, che ciò vidi allora, e m’accorgei
De’ sentimenti suoi, sendogli al fianco,
11Così gli espressi, a farnel pago i miei:
D. Ciccio, a che stupir, che così franco
Parli quel Papagal, se tu, che sei
14Bestia non men di lui, parli pur anco?
A D. Cic- |