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sismi, nei due brani ultimi pubblicati, e particolarmente nel nostro, bisogna riconoscere uno scrittore fiorentino, non tanto per il «pesce d’Arno» della ricetta xlviii, quanto per la forma del dettato, affatto schietta dalle tracce caratteristiche dell’altre parlate toscane, e benissimo conservata nell’esemplare Riccardiano, che però abbiamo riprodotto fedelissimamente. Se poi guardiamo al contenuto, i due frammenti gemelli differiscono abbastanza dal Libro completo, perché danno ricette piú particolari, con le dosi degl’ingredienti, e perché generalmente trattano di composizioni culinarie piú alte e difficili, mentre l’altro insegna anche molte vivande comunali, per i fanti, e le igieniche per i malati. In particolar modo nel brano ch’ora torna in luce primeggiano le torte e consimili nobili pietanze; ma ahimè, anche in queste, troppe libbre di lardo, troppo cacio, troppe spezie, che testimoniano di palati ben diversi dai nostri. Eppure anche noi, poiché i vecchi testi sono da gran pezza freddati, possiamo gustare la ottima lingua di quella cucina!

M.