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cora argenteo fra le rive nere. In fondo alla barca, alcuni pesciolini guizzavano disperatamente, urtandosi fra loro e balzando fino ai piedi di Adone.

Egli sentiva pietà di questi poveri pesciolini, ma quando Davide tirava su la rete, egli sentiva una smania di gridare: — El ghè! El ghè! — anche se il pesce non c’era.

Arrivarono così in fondo all’isola e presero il largo; non c’era da sperar più niente. Il pescatore issò la rete in fondo alla barca, poi si curvò a guardare i pesciolini: i lunghi capelli gli piovvero tutti avanti sul viso sbarbato e scarno. Ora Adone lo guardava fisso, e finalmente osò parlare:

— Sono tredici, — disse. — Eh, sono piccolini, ma non sono pochi!

— Tredici! — osservò il barcajuolo, — brutto numero; vogliamo gettare ancora la rete, laggiù?

Ma Davide era stanco, e aveva paura dell’aria umida della sera.

— Approda, approda, — disse, sedendosi sull’asse accanto al ragazzo. Scosse la testa per gettare indietro i lunghi capelli, si calò sulla fronte le larghe falde del cappello nero, e si mise a cantare, senza badare oltre ai suoi compagni.

Aveva una bella voce, e la «canzone» che cantava era così bella, come Adone non ne aveva mai sentito.

Cielo e mar, l’etereo velo...


L’eco rispondeva e non era più beffarda: tutte le cose, intorno, intorno al magico specchio del-