Pagina:L'ombra del passato.djvu/81


l'ombra del passato 77

quasi mezz’ora. Un merlo cantava tra le macchie, e il suo grido liquido pareva uscir dall’acqua violacea dello stagno. Il cielo diventava pallido e triste: alle spalle di Adone il velo del bosco si addensava: in lontananza i tronchi assumevano forme bizzarre. Egli cominciò ad aver paura: idee fantastiche gli passarono in mente.

Egli temeva che Pigoss, non vedendolo più, fosse andato ad avvertire il Pirloccia: ad ogni modo bisognava muoversi, ritornare verso la riva.

Posso anche morire, qui, — pensò, alzandosi. — Sì, si può morire da un momento all’altro, come il mio povero zio.

S’avvicinò allo stagno, come inseguendo la luce che se ne andava: per distrarsi avrebbe voluto gettare qualche sassolino nell’acqua: ma dove trovare il sassolino? — Possibile che Pigoss l’avesse abbandonato e tradito? Anche lui, dunque, lo odiava. Tutti lo odiavano. Due grosse lagrime gli gonfiarono gli occhi. A capo basso, col suo misterioso involtino sotto il braccio, egli ritornò verso la riva. E vide la barca del Pigoss che ritornava, coi viandanti e due cestini pieni di mele. Ma la barca, forse per desiderio dei passeggeri, che gesticolavano, protestando senza dubbio contro la lentezza del barcajuolo, passò dritta senza riavvicinarsi all’isola.

Allora Adone provò una grave disperazione. Cadeva la sera: il cielo e il fiume diventavano sempre più tristi e scuri: soltanto la sabbia rimaneva chiara. Egli sedette sulla duna, aspettando.