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l'ombra del passato 45


— No, no. Carte scritte.

Egli pensò, ricordò:

— Sì, sì, ce ne sono.

— Chi ha la chiave? Lo zio?

— Sì, lui, sempre. Di notte la mette sotto il cuscino.

— Senti bene — disse la mamma, fermandosi. — Bisogna che tu ritorni in camera dello zio. Mettiti in un angolo e sta zitto zitto. E sta attento se aprono quel cassetto.

— Io? Io ho paura, — egli disse tremando. — Come farò a star lì, se lo zio muore?

— Senti, caro il mio omino. Bisogna che tu ci stii, là, almeno finchè torno io. Va, fatti coraggio. Io ora corro a casa, cerco qualcuno che dia attenzione ai tuoi fratellini. Poi torno... Se non è troppo tardi!

— Perchè non l’hai fatto prima? Ma perchè?... — egli singhiozzò, attaccandosi nuovamente a lei.

— Caro il mio omino, non credevo che tuo zio stesse così male. Va, ora, va!

Ma egli aveva paura. Lasciò che la mamma si allontanasse e invece di ritornare verso casa s’avvicinò alla chiesa. L’ombra dei pioppi si disegnava nettamente sull’erba del prato: i tronchi sembravano colonne di marmo, e le loro ombre colonne nere buttate per terra. Egli aspettava trepidando il ritorno della mamma: ella lo avrebbe sgridato, di certo, ma egli preferiva ogni tormento a quello di ritornare in camera dello zio. Cautamente s’avvicinò ai pioppi: qualche cosa bisognava pur fare.