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l'ombra del passato 43


La mamma di Adone s’era avvicinata a Tognina e le diceva qualche parola sottovoce. A un tratto gli occhi vitrei del malato parvero animarsi; le sue labbra si mossero. Egli aveva sentito la presenza del fanciullo e Tognina comprese ch’egli voleva vederlo. Si volse, guardò Adone con gli occhi pieni di lagrime, gli fece cenno di avvicinarsi. Adone si gettò sul letto, guardò avidamente il caro viso e non lo riconobbe più. Il suo zio rosso e sorridente era già morto: di lui non rimanevano che i capelli e i baffi: tutto il resto s’era trasformato orribilmente.

Sotto gli occhi del malato, ridiventati vitrei, si disegnavano due vene, livide e gonfie: Adone passò il ditino sopra queste vene, quasi volendole far sparire; poi si mise a piangere dirottamente. Li mamma lo prese per le spalle, lo trascinò fuori della camera e lo sgridò, piano, piano, minacciando di batterlo se non stava zitto. Allora egli tacque: si volse e vide che l’ometto silenzioso s‘era alzato e chiudeva l’uscio della camera.

Egli e la mamma rimasero nel pianerottolo. Ella gli strinse la mano, se lo tirò dietro, giù per la scaletta. Nell’atrio, che era un lungo andito sul quale s’aprivano gli usci delle stanze terrene, v’erano parecchie persone, fra le quali due figli del Pirloccia, due gemelli uno dei quali era bruno e olivastro come il padre e l’altro così albino che pareva canuto. Un vecchio bifolco, fratello di Jusfin l’ex-cacciatore, accendeva un lumino ad olio davanti all’immagine di San Simone