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38 | l'ombra del passato |
— È finita! — pensò Adone. — Il dottore! Mio zio deve morire.
La voce iraconda del cordaio lo trasse dal suo sogno doloroso.
Si potrebbe accendere un lume! Adone!
Egli si mosse: entrò in cucina, prese un zolfanello e si curvò sul focolare per accendere il lume.
Sulla cenere calda stavano alcune fette di polenta che Tognina aveva messo ad abbrustolire: da una padellina usciva il grato odore delle rane in umido. E per istinto egli toccò la polenta, annusò le rane, e si accorse che aveva fame: e si senti ancora più triste e disperato.
Fu una notte indimenticabile.
Il malato riprese i sensi, ma non parlava e non si moveva. Verso le nove arrivò la mamma di Adone, e benchè il medico avesse ordinato di non lasciar entrar gente nella camera del malato, ella volle salire a tutti i costi. Per un momento Adone stette sulla porticina della scala, guardando la sua mamma che saliva in punta di piedi e appoggiandosi al muro per non far rumore. Egli chiamò sottovoce!
— Mamma? Mamma?
La donna si volse, gli accennò di star zitto. Allora egli prese una grave decisione: salì, cautamente, afferrò un lembo della sottana della mamma, e per quanti gesti ella facesse, egli non volle più lasciarla. Così, stretti l’uno all’altra, entrarono nella camera del malato. Era una camera vastissima, bassa, con le pareti e le travi tinte di calce: un gran letto di noce, due cassettoni, un tavolino,