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l'ombra del passato 29

reva dal cordaio ogni volta che vedeva Jusfin, e ascoltava ansioso ogni parola del vecchio: per lui nulla esisteva di più meraviglioso del palazzo Dargenti. Il parco, del quale invano tentava saltare i muri, lo attirava in modo speciale.

Nell’interno di quel grande palazzo chiuso, egli aveva sentito raccontare da Jusfin, — v’erano cose magnifiche, mobili d’oro e di velluto, specchi enormi, uccelli imbalsamati, armi rare che avevano ucciso uomini maligni e tedeschi cattivi.

E nel folto del parco chiuso, sotto quegli alberi altissimi, dei quali egli non sapeva ripetere i nomi strani, v’erano altre casette coperte d’edera, con piccole porte e piccole finestre; e un laghetto popolato di anitre selvatiche, di pesci rossi, di cicogne; e v’era una barchetta di argento, e sulle sponde di questo laghetto crescevano le fragole, e in mezzo ad un campo di avena c’era il nido del passero solitario.

Tutte queste cose, mai vedute, esercitavano un fascino straordinario sul ragazzetto: neppure la città sepolta nel fiume era per lui più misteriosa ed attraente del parco e del palazzo abbandonali.

Certi nomi specialmente gli davano un senso quasi morboso di curiosità e di piacere.

I nomi strani degli alberi, le «armi», gli «uomini maligni», le «cicogne», e sopratutto il «passero solitario», s’erano impressi nel suo pensiero come nomi di cose belle ed ignote.

— Le armi? — gli spiegava lo zio Giovanni. — Cosa vuoi che siano? Bagai, fucili, coltelli,