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fantasmi. Spesso egli si fermava davanti al cancello arrugginito, sempre chiuso.

Nulla di più melanconico di quel palazzo del Settecento, già decaduto come un vecchio castello.

Il padrone del palazzo viveva ancora ma non ci veniva mai. Solo qualche volta Adone vedeva il vecchio Jusfin, l’antico cacciatore dei signori Dargenti, attraversare il giardino e il parco che egli aveva in custodia. L’ex—cacciatore conservava ancora il costume, — giacca di velluto, calzoni stretti, cappello con penna di fagiano, — ed aveva ancora un aspetto decorativo; era alto, col petto largo, una lunga barba d’argento dorato. Ma anch’egli non era più che un ricordo d’altri tempi, una figura e nulla più. Era vecchio, decaduto: un panereccio gli aveva portato via il pollice destro. Con le altre dita non si può premere il grilletto del —fucile, anche quando si ha il tempo e la comodità d’andare a caccia nel bosco o nel fiume. Jusfin andava invece in fondo al parco, dove ogni anno seminava segretamente la sua provvista di granoturco e di patate.

Ecco la ragione per cui neppure pagando si riusciva a visitare il parco ed il palazzo. Jusfin aveva ancora un gran rispetto per il suo ultimo padrone: ma vivere bisognava.

L’ex—cacciatore era molto amico di Sison il cordaio, e spesso andava a trovarlo, e parlava dei bei tempi passati: non era bugiardo, come tutti i cacciatori; era piuttosto uomo di poche parole, ma qualche volta si beffava del prossimo. Adone cor-