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296 | l'ombra del passato |
Ella lo guardò, con gli occhi pieni di angoscia: non lo aveva mai guardato così, ed egli ebbe l’impressione ch’ella volesse dirgli qualche cosa. Ma Carissima stava attenta, curva sull’altra sponda del letto, e d’altronde egli non aveva voglia di starsene a lungo in quella camera calda, ove si sentiva uno sgradevole odore di canfora e di conserve.
Tognina disse con voce rauca:
— Il male arriva qui, al cuore: è vicino. Le porte sono aperte.
— Le porte di che? Dell’eternità?
Egli non aveva voglia di pensare all’eternità.
— Fate, fate venire il medico, — disse, con rimprovero. — Chi non guarisce da questi mali, oramai?
E se ne andò nella sua cameraccia piena di polvere, convinto, come tutte le persone sane, che anche i malati più gravi possono guarire.
Persino la vecchia Suppèi era guarita: aveva vinto il nemico, non tossiva più, non si ricordava più della morte. Egli la trovò che litigava con la madre del povero Marco.
— Io son povera, ma la mia coscienza è pulita come la tela lavata! Io non ho tinte per tingermi l’anima! — gridava la vecchia, con la sua grossa voce, battendo i piedi per terra come una cavalla. Ma appena vide il giovane si calmò.
Al di là della siepe la moglie del tintore, ancora rossa e bella, borbottava qualche parola: vide anche lei Adone, lo fissò, lo riconobbe, ma non si commosse e neppure lo salutò.