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l'ombra del passato 25


— Pronti! — rispose la donna, accorrendo con due scodelle, entro le quali aveva messo un po’ di tagliatelle cotte.

Giovanni versò il vino spumante nelle scodelle, e tutti sedettero a tavola, mangiando con voluttà quella specie di antipasto paesano.

Pirloccia si leccò le labbra violacee di vino, e cominciò a raccontare le solite storie, mentre Giovanni ricordava il cugino che viaggiava verso Roma.

Anche l’ometto aveva viaggiato: conosceva bene il mondo. Col suo carrettino carico di scope egli aveva attraversato quasi tutta l’Europa ed anche parte dell’Africa e dell’America. Sì, egli aveva girato tutto il mondo, — egli diceva, — sempre in cerca della fortuna. Ma la fortuna è come l’anello sepolto dove comincia e dove finisce l’arcobaleno. Pare lì, vicino, ma non si arriva mai a trovarlo.

— Corpo, — egli gridava, agitandosi, — sono stato anche a Montecarlo, dove tutti quelli che vanno o s’impiccano o diventano ricchi, lo non mi sono impiccato eppure non sono diventato ricco, Dio te stramaledissa, fortuna!

Giovanni colmò il suo piatto enorme di tagliatelle sottili e gialle come fili di seta.

— Ma, hai giuocato? — domandò con calma.

— Non sono andato al di là dell’ingresso: solo ho venduto trenta scope al portiere, — ammise Pirloccia.

— Chi sa, — osservò malinconicamente Giovanni, — qualcuna di quelle scope avrà spazzato il sangue di qualche suicida...