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diffidava di lei, ed ella non amava la nonna: ma poteva darsi che le notizie riferite dal figlio del zolfanellajo non fossero esatte.

— Del resto, che m’importa? — si domandò Adone. E volle andarsene, ma non ricordò più dove pensava di andare.

Quella notte non c’era recita: per andare da Caterina era presto ancora. Egli rientrò nel «teatro» e rimise in ordine alcuni oggetti: poi ritornò sulla porticina. Nel prato solitario passò in bicicletta un giovinotto grasso e biondo che si fermò e smontò davanti al cancello. Doveva essere uno dei soliti visitatori della marchesa. Forse veniva da Casalmaggiore, forse da Dosolo. Forse era invitato a pranzo al palazzo: Maddalena quella sera avrebbe forse civettato con lui!...

Jusfin apri il cancello: e dovette dire che le signore erano in chiesa perchè il giovinotto consegnò la bicicletta all’ex-cacciatore e s’avanzò fino alla porta della parrocchia. Adone lo guardava fisso: gli pareva che il giovinotto, col suo viso rosso e i baffi dritti, gli occhi celati dalle palpebre un po’ grosse, avesse un’aria di gaudente, d’uomo conquistatore: ed egli diventò triste; provò un vago malessere, un sentimento che gli era ignoto. Gli parve d’essere invidioso dello sconosciuto!

Durante la sua visita a Caterina egli rise e chiacchierò più del solito, e poichè ella rifaceva in modo sorprendente la voce e i gesti degli «attori» del Tiranno di Padova, egli disse alla Suppèi: