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268 | l'ombra del passato |
si permette di dire una sola parola e ficcare il naso nei nostri affari, io gli darò tanti schiaffi, ma tanti schiaffi da stordirlo! Sono donna da farlo!
Egli rise; ma ella era irritata davvero e continuò a profferire minacce contro i parenti di lui.
Arrivati sull’argine Adone le prese il braccio e si strinse a lei. E avrebbe voluto ch’ella tacesse, che gli lasciasse godere la dolcezza di quella loro prima passeggiata notturna.
Nella felicità del momento, egli avrebbe voluto dimenticare le volgarità della vita, la miseria morale dell’ambiente in cui viveva, i ricordi del passato che gli risalivano dal cuore come un sapore acre dallo stomaco. Ma Caterina ricordava appunto le confidenze che il ragazzetto col mantellaccio faceva, lungo quella stessa via, alla ragazzetta con lo scialle.
— Sì, bellezza mia, — continuava a inveire, — son capace di dargli tanti schiaffi al tuo ometto. Ed anche alla tua bella zia! Non ti hanno abbastanza tormentato? Ci lascino in pace, ora.
— Sì, sì, ma taci, — egli pregò.
— Perchè devo tacere? Credi tu che io non indovini quello che hai, stassera? Credi che io non indovini? Ti leggo negli occhi. Tu non hai confidenza in me; ma io non sono una stupida...
— Che hai, stassera, Caterina? — egli disse. Tormentami; sì anche tu, ora!
— Ah, sì, ti tormento? Ebbene, sì, voglio tormentarti. Devi essere sempre tu il padrone: sempre, sempre?...