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l'ombra del passato 267

I suoi primi ardori smorzati, egli oramai considerava Caterina come sua moglie: non occorreva far pazzie ogni momento: qualche volta bisognava parlare anche di cose serie!

— Lasciale andare, — egli disse a Caterina che rideva e chiamava le amiche. — Senti, Pirloccia è partito.

Ella cessò di ridere, si ricordò, trasalì.

— Appena lui è andato via ho parlato con la zia, — egli riprese. — Col maestro siamo d’accordo: egli non rinunzia al posto finchè io non avrò compiuto gli studi. Così, fra due anni, se io non trovo di meglio, avrò sempre il posto di Casalino. Non gli è parso vero, di rimanere, a quel vecchio avaro!

— Che ha detto la Tognina?

— Mi ha detto che son pazzo! M’ha detto che non potrà mandarmi un solo centesimo. Anch’io gliene ho dette! L’ho fatta piangere. Però...

Tacque, insolitamente triste. Egli non diceva tutta la verità, e Caterina lo capì.

— Però?... — domandò ansiosa.

— Era forse meglio ch’io prendessi il posto. Sono stanco di vivere alle spalle degli altri!

— Tu non vivrai alle spalle degli altri! Se occorrevenderemo la casa: la nonna vuole...

— Non dire sciocchezze! — egli proruppe, adirandosi.

— Ma non è questo, lo lavorerò, vivrò con poco. Ma Pirloccia continuerà a dire ch’io sono un poltrone.

— Tu hai paura di quell’ometto? di quella trottola? — disse fieramente Caterina. — Tu? Se egli