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l'ombra del passato | 245 |
— Non li ho lasciati mai soli, — si vantava col Pirloccia. — Non si sa mai! Prima avevo fiducia nel ragazzo: era freddino, timido; ma ora ha due occhi indiavolati, il ragazzo.
— Lasciateli fare! — disse l’ometto filosoficamente. — Prima o dopo fa lo stesso.
— No, viscere, non fa lo stesso! C’è una bella differenza, eh, altro! Io ho raccolto e tiralo su la ragazza come si tira su un panno sporco che è caduto nel fosso. E lava e lava, l’ho ridotto pulito e bello come una tovaglia d’altare... E voglio che tale resti! — ella prosegui, ora alzando ora abbassando la voce rauca. — Guardala lì! È più alta di lui. È bella, laboriosa, di talento. E avrà anche la dote, viscere, non dubitare. Diglielo a tua sorella, alla tua Pirloccina. Suo nipote sposerà una ragazza orfana, ma con la dote. E quanti partiti ha avuto!
Alquanto piccato, l’uomo cominciò anch’egli a lodare il suo Adone.
— Vecchia, ti dico che anche noi l’abbiamo tirato su con ogni cura. Era un diavolo, da bambino: non voleva lavorare. Mangiare, sì, corpo! E quante volte mi ha morsicato: eccoli qui, i segni. Ma a furia di carezze e di bastonate l’abbiamo raddrizzato come un ramo storto. Eccolo lì: non è troppo alto, ma è proporzionato; è bello davvero! — esclamò poi l’ometto, come accorgendosi per la prima volta della bellezza di Adone. Solo gli occhi valgono un Perù. Se avesse voluto avrebbe sposato una signora.