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a partire, con gioia e con dolore. I suoi parenti non volevano ajutarlo, non volevano dargli un soldo. Dicevano: può lavorare, è grande oramai.

«... Un giorno, — proseguì Caterina, dopo aver inghiottito la saliva, e sospirato profondamente, — egli si recò in un paese dove c’era la fiera. Dopo aver attraversato il fiume nella barca del vecchio portiner, egli s’inoltrò nel bosco di pioppi. Camminava in fretta: egli non amava i boschi cedui, specialmente quelli che crescono sulle rive dei fiumi. Questi boschi son belli da lontano, nell’ora del tramonto, quando il sole rosso apparisce fantasticamente fra i rami argentei. Da vicino questi boschi sono incomodi. Il terreno è umido, vischioso, coperto di erbe strane e pungenti. Miriadi di moscherini nojosissimi offuscano l’aria umida e pesante. Qualche volta vi sono anche le zanzare, anche qualche biscia, e allora è brutto stare in quei boschi. Era già d’autunno; ora qua, ora là, in lontananza, s’udivano i boscaiuoli battere l’accetta sui tronchi. A che pensava il nostro Paride? Forse pensava che doveva partire, e in cuor suo diceva addio a quei luoghi. Quando ad un tratto si fermò, sussultando. Una fanciulla bionda stava seduta sull’erba, appoggiata ad un tronco di pioppo. Se in quel momento gli fosse apparsa una fata egli non si sarebbe commosso di più!»

Arrivala a questo punto Caterina non volle proseguire. La voce le tremava, come velata per pudore. Invano la Suppèi ed anche Adone la pregarono di continuare.