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che la Suppèi soleva dare alle sue fiabe, quando si degnava narrarne qualcuna ai bimbi del vicinato.

«... Paride non era bello, ma poteva dirsi simpatico. Era slanciato, svelto, con due occhi pieni di fuoco. Egli amava il bello, il buono: avrebbe voluto esser forte per ajutare i deboli, ricco per ajutare i poveri. Elena era bionda e fresca come Venere appena uscita dalle onde! Ella era anche forte e sincera. Non soffriva le ingiustizie, e solo una volta — Paride ricordava — ella aveva sopportato con pazienza una grave ingiuria...»

— Aspetta, saltiamo... — disse Caterina, non volendo raccontare davanti alla vecchia la sua avventura con Maddalenina Dargenti.

— Racconta quando i due ragazzi s’incontrano nel bosco! — pregò la Suppèi, levandosi la pipa di bocca. — Li è bello, veh!

— Ah, aspettate, sì, ecco! «... Elena e Paride avevano quindici anni! L’età della poesia e dell’amore. Essi non si erano ancora detto di amarsi, ma se lo leggevano negli occhi ogni volta che si vedevano. Da lungo tempo avevano cessato di andar assieme a scuola, ma spesso si incontravano, e Paride, con la scusa di andar a trovare la mamma di un suo amico morto, andava in casa di Elena. La casetta della fanciulla era al limite del paese; era una povera casetta ordinata e pulita, e la nonna di Elena era una vecchia brontolona, ma piena di cuore. Lui doveva partire: aveva anche lui finito le scuole del paese, e doveva andare in una città lontana per terminare gli studi. Egli si preparava