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214 | l'ombra del passato |
denaro io, queste vacanze, darò lezioni, e poi farò le «recite in persona!» Quest’inverno io e i miei compagni abbiamo rappresentato persino la Morte civile! Son bravo, io! Il difficile sarà trovare il locale!
Poi ripresero a parlare della novella manoscritta che egli aveva mandato a Caterina. Ella la sapeva tutta a memoria, e ne recitava qualche brano, con voce commossa. Egli sorrideva, ma in fondo si sentiva lusingato per il successo della sua opera.
«...Elena e Paride, — recitava Caterina, — così si chiamavano i due fanciulli orfani, erano cresciuti assieme, allevati per carità dai loro parenti. Nessuno li amava: un giorno però essi s’incontrarono e diventarono amici. Si vedevano tutti i giorni, d’inverno e d’estate, pei campi verdi e sconfinati, o sulla riva del fiume che trascorreva solenne e azzurro come un lembo di mare. Si raccontavano le loro pene; ma qualche volta anche litigavano. Essi non si accorgevano ancora di amarsi, di essere già avvinti l’una all’altro come la vite all’albero!...»
— Com’è bello, qui! — ella commentò, con ammirazione sincera. — Però quel nome di Paride non mi piace molto.
— È più bello «Scipione»?
Ella trasalì, respinse la mano che egli le metteva sulle ginocchia.
— Eppure, bisogna parlarne... più tardi... egli le sussurrò all’orecchio. — Mi racconterai tutto.