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l'ombra del passato 209


— E che è abituato a mangiar pan di Spagna? — gridò la vecchia rozzamente.

Adone non si offese: egli andava dietro a Caterina come un cagnolino e pareva beato per le smanie e il turbamento di lei. Domandò:

— Devo andar io a prendere qualche cosa?

Ma Caterina lo afferrò per un braccio:

— No, no, amore! Non muoverti, non andar via! — Pareva colta dalla paura che egli, andandosene, non ritornasse più!

La vecchia fece due o tre gesti, imitandola comicamente: poi le ordinò di apparecchiare, e Caterina obbedì, sempre più turbata e smaniosa.

Adone la seguì nella cameretta, e l’abbracciò di nuovo. Ella rassomigliava alquanto alla figlia del cordaio, così bionda, rosea, col busto provocante: solo i suoi occhi piccoli e neri avevano un’espressione diversa: erano profondi e brillanti, ma di tanto in tanto avevano come un baleno di fierezza e di cattiveria. Ella aveva conservato la sua natura infantile, le sue mani larghe e nodose, i piedi grossi, la sua andatura un po’ fiacca e dondolante: ricordava qualche cosa dei suoi avi palafitticoli: pareva che in un tempo lontano ella avesse camminato sui trampoli, attraverso foreste pantanose, e che i suoi piccoli occhi fossero abituati a scrutare i pericoli d’una natura primitiva ancora piena d’agguati e di misteri. Era una creatura di bellezza e di forza, nuova alla vita, e pronta ad ogni lotta. Mentre ella apparecchiava la tavola,

G. Deledda. — l'ombra del passato. 14