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196 l'ombra del passato


Non gli davano da mangiare, e Pirloccia diceva che dopo la vendemmia lo avrebbe ammazzato. Anche Adone non amava il suo triste compagno notturno, così vecchio, magro, nerastro, ma ne aveva pietà; gli pareva che Turco fosse cosciente della sua sorte e abbajasse protestando contro l’ingiustizia degli uomini.

Qualche volta il suo lamento era così triste che Adone aveva paura. Gli pareva che il cane vedesse qualche fantasma, e anche lui guardava intorno, un po’ spaurito, un po’ spavaldo.

La notte era tiepida, silenziosa, profumata dall’odore dell’erbe e dei meloni. Già qualche striscia di nebbia grigiastra velava le stelle dell’orizzonte: e gli alberi neri sullo sfondo incolore del cielo parevano davvero fantasmi, ma erano troppo neri, troppo fermi, per incutere spavento.

— Possono però essere fantasmi di alberi morti, — pensava Adone, sdrajato sotto il suo riparo di canne. — Perchè anche gli alberi morti non possono apparire? Gli alberi vivi forse ne hanno paura: io no, però. Io sono un «uomo». Gli uomini vivi devono aver paura solo dei fantasmi degli uomini morti.

Egli rabbrividiva alquanto: poi pensava:

— Se vedessi qualche cosa di bianco, allora sì, potrei aver paura. Potrebbe essere anche lo zio, anche Marco! Ma io non ho paura. E quella balorda di Caterina che crede a queste cose. Io no, veh, io non ci credo!

E intanto aveva paura!