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l’aja; e allora anche Adone doveva recarsi a pascolar le vacche. Egli si vergognava di lasciarsi veder dal giovine, allora, e faceva un largo giro per non incontrarlo: ma un giorno Davide lo vide e gli disse:

— Perchè diventi rosso? Ti vergogni di questa bella compagnia? Da ragazzo il mio sogno era di condurre una vacca al pascolo. Ed anche ora... non dico, almeno due o tre non mi dispiacerebbe di averle!

Una sera Davide lo condusse con sè a pescare.

Ma fu una sera melanconica. Grandi nuvole d’un violetto bronzeo oscuravano il cielo; anche il fiume, tutto violaceo, era d’una tristezza solenne.

Adone intuiva già le bellezze della natura. Distingueva i profili strani delle nuvole, i riflessi dell’acqua, le voci delle cose. Non credeva più alla città sepolta nel fiume, ma si domandava se dentro l’acqua non esistesse davvero il paesaggio tremulo che ci si vedeva, con quello sfondo di cielo vago, lontano, alquanto pauroso come un abisso. Le nuvole gli parevano la maschera del cielo. Ma il cielo non amava quella sua maschera, e appena poteva si liberava dai suoi veli, squarciandoli, buttandoli via, lontano, per gl’infiniti spazii.

A lui, invece, le nubi piacevano moltissimo: egli non era una natura di contemplatore, e forse appunto per questo amava l’instabilità, i giuochi, il multiforme aspetto delle nuvole. Anch’egli avrebbe voluto viaggiare così, in alto, giocando e sorridendo.

G. Dkucih»a — I.’ombra tiri passalo. 13