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l'ombra del passato 187


Passando per il viottolo vide la cestaja inginocchiata davanti alla Maestà. La povera donna faceva spavento, tanto era magra, gialla in viso, coi pomelli rossastri e le labbra livide: pareva un cadavere al quale, per uno scherzo macabro, fossero state tinte le guancie con un po’ di carta rossa. Adone ne provò terrore. Ella s’alzò a stento, e volle dirgli qualche cosa, ma aveva persino perduto la voce. La sua fine si avvicinava.

— Che volete, mamma? — disse Caterina, avvicinandosele e stringendole un braccio.

La malata la respinse, con un gesto che doveva esserle abituale, poi con voce afona, riuscendo a pronunziare in alto solo qualche sillaba rauca, domandò al ragazzo:

— Puttino, dimmi, è arrivata la marchesa Pigoss? quella dell’anno scorso?

— No; dicono che verrà in settembre.

— Quando arriva, me lo dirai, per piacere? Ricordati, eh!

— Sì, sì, — egli rispose premuroso.

Intanto Caterina era corsa dentro e s’era affacciata alla finestra.

— Mamma, andate dentro, su, — disse, scuotendo la testa. — Andate; vi fa male star lì. Su, su, andate!

— Ricordati, puttino, — ripetè la donna.

E svoltò, appoggiandosi al muro. Adone s’avvicinò alla finestra.

— Ora ti do subito la scatola... — mormorò Caterina, lasciando il davanzale.