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morto. Anche lei era povera, perseguitata. Un filo invisibile univa i loro piccoli cuori avidi cii gioia, ma già toccati dal dolore.

Egli andò dalla madre di Marco.

Ella pianse nel vederlo; lo abbracciò, lo guardò a lungo negli occhi, quasi cercando nella pupilla di lui l’immagine del fanciullo morto. Poi gli disse!

— Vorrei farti un regalo. Vorrei regalarti il vestito di estate del mio Marco: lo prendi? Tua zia non dirà niente?

Egli arrossì, ma comprese che rifiutando avrebbe addolorato quella madre già tanto triste, e accettò.

Poi la donna gli fece vedere la fotografia del povero morto, i cui occhi erano socchiusi, la bocca alquanto contratta. Pareva dormisse, ma d’un sonno penoso. Adone ricordò le parole di Caterina, e suo malgrado provò una strana impressione. No, quel ritratto non era quello del suo amico: era il ritratto di un altro, di un essere lontano, misterioso, di un fanciullo che durante il giorno dormiva ricordando le offese ricevute, le tristezze passate, i dolori sofferti, e la notte si svegliava e andava in cerca dei suoi nemici, per farsi giustizia da sè...

La mamma di Marco gli diede il vestito entro una scatola di cartone.