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l'ombra del passato 177


— Ti ricordi, — disse Adone, — una volta sotto il pergolato abbiamo fatto un gioco curioso. Facciamolo ancora.

— Che gioco, sposino?

— Così: tu correvi, io ti raggiungevo: fingevamo di litigare e cadevamo tutti e due per terra. Una volta m’hai morsicato le labbra.

— Ah, sì? — ella gridò, sempre più allegra. — Vuoi essere morsicato? Ecco, ti basta?... Ancora: ecco. Bau, bau, bau...

Ella finse di abbajare e lo morsicò lievemente: egli impallidì di piacere: si attaccò a lei e le morsicò forte la guancia destra.

— Ah, perdinci, tu fai davvero! — ella gridò, respingendolo. — Va via subito, cagnolino! Va via o ti do un ceffone!

Egli non sapeva se ridere o piangere, ma la guardava così mortificato che ella si rabbonì, e passandosi la mano sulla guancia ove i dentini di lui avevano lascialo il segno, disse:

— Dovresti cercarti una sposina piccola, una cagnolina come te, per fare questi giuochi. Va via; io non ti voglio più.

Ed egli pensò a Caterina. Rivide col pensiero la figurina imbacuccata che percorreva l’argine trascinando gli zoccoli, rivide le guancie rosse e rotonde come due mele, che si scorgevano anche da lontano nel grigiore della strada solitaria, e pensò che sarebbe stato bello giocare con lei come con Andromaca.