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12 l'ombra del passato


Adone e il barcaiuolo, rossi in viso, felici entrambi, proseguivano la loro corsa, scambiando qualche frase e ridendo forte.

— Al ritorno mi metto il vestito nuovo e vado a messa con lo zio — confidava il ragazzetto al l’uomo che lo ascoltava attentamente. — Poi dobbiamo mangiare una gallina: poi oggi andrò a trovare la mia mamma. Chissà che le porti qualche cosa, eh, speriamo! Ho una gran cesta piena di roba, io: se vieni, un giorno, ti faccio vedere tutto. In fondo c’è una cosa... una cosa... non ti dico che cosa, perchè tu puoi farmi la spia... Ebbene, te lo dico lo stesso: ho quattro soldi: due li porto alla mamma.

Arrivarono davanti alla chiesa, bianca e gialla, che sorgeva in fondo ad un prato sulla cui erba appena falciata alcuni pioppi allungavano le colonne d’ombra dei loro tronchi tinti di bianco. Attraverso questi tronchi, come in un intercolunnio marmoreo, si scorgeva, di fronte alla chiesa, un muro verdastro e un grande cancello di ferro arrugginito. E attraverso il cancello si vedeva un giardino inselvatichito, in fondo al quale sorgeva un palazzo del Settecento, dalle finestre chiuse, grigio e solitario sullo sfondo d’un parco il cui verde cupo si stendeva lontano, fino all’argine del Po.

Adone e il barcajuolo passarono davanti al cancello, lasciando la strada comunale per internarsi in un viottolo che per lungo tratto correva tra il muro del giardino del parco e il muro del cimitero.