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pidamente un calessino guidato da un negoziante di grano, molto amico del Pirloccia: e avrebbe voluto nascondersi, ma non era più in tempo. L’uomo l’aveva già veduto, e senza fermare il calesse gridò:

— Dove vai? — ma tirò dritto senza aspettar la risposta che Adone non pensava a dargli.

Il fuggitivo proseguì la sua strada. Nonostante le sue preoccupazioni e la stanchezza che dopo la notte insonne e i pugni ricevuti cominciava a sentire, egli aveva fame.

Ma questa volta egli aveva provveduto: nel suo fagottino, oltre i soldi, c’era qualche fetta di polenta, burro, formaggio, uova. Sedette su un mucchio di ghiaja umida, e svolse il fagottino. Il sole spuntava in fondo alla lunga e dritta strada, allora tutta fiancheggiata d’alberi d’alto fusto. Le foglie giovani, l’erba tenera, sparse di rugiada, scintillavano come foglie e steli di cristallo: gli uccelli cantavano, ancora un po’ freddolosi e timidi.

Adone pensava sempre a Robinson, e mangiando la sua polenta fredda trovava qualche rassomiglianza fra lui e il prediletto eroe. Ma una bicicletta passò, scintillando, volando; poi passò un carrettino, entro il quale, mi una sedia, stava seduta una signorina in capello: egli capì che il suo paragone era assurdo. Ma egli aveva bisogno di pensare a Robinson per pensare a qualche cosa di bello, di fantastico, che lo distraesse dai suoi tristi pensieri. Il ricordo dell’orribile scena della notte lo colmava di terrore.