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118 l'ombra del passato


Ah, ecco, egli camminava, camminava in fretta, come al solito, e sentiva sulle sue piccole spalle il peso del suo destino; e sentiva nel cuore la disperazione della sua debolezza, della sua miseria. Come liberarsene? Il suo destino era come il suo mantello: brutto ma comodo. Liberarsene significava morir di freddo.

Verrà un giorno, però!... Il freddo passerà bene; il sole tornerà a scaldare la terra, l’erba, la cara erba buona, crescerà lungo l’argine e nei viottoli.

Via il mantellaccio, allora; via gli zoccoli: l’uccello uscirà dalla sua gabbia e sarà padrone del cielo.

E così nell’avvenire, così nella vita.

Dio, Dio, che gioia! Egli palpitava al solo pensiero dell’avvenire: l’incontro con Marco, la tappa da Belluss, il calore della fiammata, la dolcezza delle castagne secche, finivano col rasserenarlo e inebriarlo di gioia.

Eppoi il tempo non era così triste e rigido come pretendeva quell’anima chiusa di Pirloccia. Faceva ancora freddo, sì; ma con la sua squisita sensibilità Adone sentiva che l’inverno era già finito. La terra palpitava timidamente, come un fanciullo innamorato, e si copriva di peluria verde: qua e là si sentiva il lieve profumo di qualche violetta, e su gli alberi scoppiavano le gemme verdoline. E il fiume si gonfiava, giallo e azzurro, e qualche molino palpitava di nuovo, a intervalli, come svegliandosi dal lungo sonno invernale.