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l'ombra del passato 113

gari soltanto nulla cenere calda. In un attimo la piccola focaccia diventava rossa e nera, o nera da un lato e bianca e gonfia dall’altro: e in un altro attimo spariva. Fosse cruda, fosse cotta, allo scolaretto sembrava saporitissima.

E via, per le strade fangose, nella cui melma biancastra, quasi liquida, gli zoccoli del ragazzetto lasciavano la rapida impronta d’un viandante che ha fretta, che è spinto nel suo cammino da un sogno incalzante.

Sì, il nostro ometto intabarrato sognava, e correva dietro il suo sogno: gli zoccoli non pesavano ai suoi piedini fatti per la corsa nelle vie difficili della vita. Poichè egli sognava già di raggiungere qualche cosa, nella vita: sognava di raggiungere la felicità, la gioia, la giustizia, la fortuna. Via, via: spesso il gelo induriva le strade, e il cielo era d’un azzurro cupo di cristallo, e il sole splendeva come un grande diamante freddo: allora l’ometto si sentiva leggero e lieto come un uccello. Gli pareva d’aver una maschera di ghiaccio sul viso, e tutto era fresco, trasparente, luminoso intorno a lui. Attraverso questa trasparenza di cristallo egli vedeva lontano lontano, davanti a sè, nella sua vita: bisognava correre, trascinare gli zoccoli, trascinare il mantello rattoppato; bisognava rompere tante e tante porte di vetro, e ferirsi, e sanguinare: ma dopo l’ultima porta, là, lontano, c’era un mondo meraviglioso, non più gelido, non più nudo e desolato come la grande pianura ghiacciata: c’era la vita.