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capanna con la porta e la finestra chiuse. E Adone qualche volta si vergognava del suo mantello, ma se lo teneva caro perchè gli faceva caldo.

Il tempo passava. L’inverno rigidissimo copri con le sue nebbie e le sue nevi l’immensa pianura. Sul palazzo Dargenti, nuovamente chiuso, i grandi alberi, coperti di neve, vigilavano come fantasmi: tutto era silenzio e desolazione.

Molta gente si ammalò quell’inverno a Casalino. La Tognina stette lungo tempo a letto, coi suoi dolori reumatici, e anche Pirloccia, ritornato da uno dei suoi lunghi viaggi, si ammalò di polmonite. Adone, quindi, fu più che mai trascurato. La zia Elena aveva tanto da fare: solo Carissima lo chiamava spesso in disparte, per incaricarlo di vendere le uova e il frumento e le altre cose ch’ella poteva rubare in casa.

Egli se ne incaricava volentieri, e incoraggiato dall’esempio si arrangiava anche lui, e se non poteva altro raccoglieva e vendeva gli stracci, le ossa, la cenere, le bottiglie, provvedendo così alle spese di scuola, e rinnovando anche il suo gruzzolo nascosto. Nessuno pensava a lui: bisognava bene che provvedesse da sè. Lo diceva anche il maestro: chi s’aiuta il ciel l’aiuta. E cominciava dalla mattina presto: si alzava, non trovava nulla da mangiare: allora prendeva un po’ di farina, un po’ di burro o di strutto, un po’ d’acqua fredda, e faceva un chissolin1, che deponeva sulla brage o ma-

  1. Focaccia.