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l'ombra del passato 109


D’altronde quel viale imbrattato di calce, quell’erba calpestata, quelle finestre aperte, animate dalle figure note degli operai, non lo seducevano più tanto.

Il mistero cadeva: il palazzo Dargenti diventava una casa come tutte le altre; più grande, più bella, ma non più misteriosa. Il parco, avvolto di nebbia, silenzioso e freddo, tentava ancora la fantasia di Adone, ma egli rimandava di giorno in giorno il progetto di penetrarvi. Avrebbe voluto trovarsi un compagno, per questo viaggio dì esplorazione, perchè, bisogna dirlo subito, egli aveva ancora una vaga paura d’inoltrarvisi solo. Paura di che? Non sapeva: ma aveva paura. Non si sa mai. Jusfin raccontava che un tempo i Dargenti tenevano nel parco una quantità di bestie strane: cervi con le corna che parevano rami; cinghiali dai denti enormi. E se qualcuna di queste bestie viveva ancora? Bastava darle una bastonata, è vero, ma sempre meglio in compagnia di un amico.

Adone invitava Marco ad accompagnarlo nella sua progettata esplorazione: ma il biondino aveva capito che c’era qualche pericolo da superare, ed esitava. Era un ragazzetto prudente, Marco: freddo, indolente, dispettoso, ma prudente.

Tutti i giorni, oramai, i due compagni di scuola si ritrovavano nella strada fra Casale e Viadana; e facevano il viaggio assieme, bisticciandosi e pur volendosi bene.

Diventarono inseparabili. Altri ragazzetti della loro età li precedevano o li seguivano, e cerca-