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vi | introduzione. |
nel Cinquecento si cominciò a investigare le origini della nostra lingua, i dotti comunemente esagerarono la parte avutavi dall’elemento germanico o barbarico, com’essi dicevano. Pel Bembo1 l’italiano era nato dal latino alterato dalle lingue parlate dai Barbari, ossia dalle lingue germaniche. Dal che segui, egli dice, che la nuova lingua ritenne «alcun odore e dell’una e dell’altre». Quest’opinione fu poi seguita dallo Speroni, dal Muzio, dal Cittadini, dal Castelvetro, e più ancora dal Varchi, il quale scrisse che dai mali portati all’Italia dai Barbari nacquero due beni, la lingua volgare e la città di Venezia. Insomma per questi e per altri eruditi di quei tempi l’italiano non era che il latino modificato dai Barbari, e la loro opinione fu poi come formulata dal Davanzati che nel principio della lettera a Baccio Valori scrisse: «Della lingua latina corrotta dai Barbari nacquero, come ognun sa, in diversi luoghi diverse lingue, e dal volgo che quelle usava dette volgari». Oggi una tale opinione che fa derivare l’italiano e le lingue sorelle dalla corruzione causata dai Barbari al latino, è sfatata compiutamente, nonostante che l’abbiano sostenuta anche nel nostro secolo lo Schlegel, il Lewis e Max Müller. Le lingue germaniche dei Barbari invasori non esercitarono alcuna influenza sul sistema grammaticale delle nuove lingue romanze, ma soltanto sul lessico. E anche la parte lessicale che v’introdussero fu piuttosto, come osserva il Littré2, un fenomeno di giustaposizione che d’intussuscezione;