Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
l’edera | 97 |
— Sette anni, figlio mio. Solo gli avvocati m’hanno già succhiato più di duemila trecento scudi. Ma è per il puntiglio, capirà: pur di vincer la lite, andrei a chieder l’elemosina.
Verso sera egli uscì. Ma le chiacchiere della vecchia, l’assenza dell’amico, gli sguardi delle sette vecchie zitelle dalle sopracciglia selvagge, lo avevano mortalmente rattristato. Girovagò per il paese, domandandosi se doveva far visita al rettore, che non conosceva ancora. Il cielo si copriva di nuvole, il paesetto, al confronto del quale Barunei pareva a Paulu una cittadina graziosa, dava l’idea di un covo di mendicanti, cupo sotto il cielo cupo.
Gii uomini tornavano dai campi e dai pascoli, alcuni a piedi, altri su piccoli cavalli bianchi o neri: e parevano venir di lontano, silenziosi e stanchi come cavalieri erranti.
A un tratto la disperazione avvolse col suo velo gelido il cuore di Paulu.
— Dove son venuto a cercar fortuna! In un immondezzajo! — egli pensava, dirigendosi verso la chiesetta fra le roccie. — È mai possibile che trovi denari qui, proprio qui?
Gli uomini avevano finito di costrurre le baracche; la gente s’avviava alla chiesa, dove il Rettore cantava i vespri. Paulu si fermò a guardare le donne, alcune delle quali bellissime nonostante il costume rozzo e barocco, poi anch’egli entrò in chiesa e si pose vicino ad uno strano simulacro che rappresentava la Vergine assisa sulle nuvole. Le nuvole erano di legno nero, rotonde come palle: