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l’edera | 95 |
arido, sparso di cumuli di pietre, di roccie sovraposte, di massi che formavano circoli, coni, piramidi. Pareva che un popolo primitivo fosse passato in quel campo, tentando costruzioni che aveva poi abbandonato incomplete: tutto era silenzio e desolazione.
Passando dietro la chiesetta Paulu vide alcuni paesani intenti a costrurre capanne di frasche, per la festa che ricorreva l’indomani, e li salutò con affabilità rozza, come dovevano salutare i signorotti feudali, due secoli prima.
Entrò nel paese, attraversato dalla strada comunale: le zampe del cavallo affondavano nella polvere e nelle immondezze. Casupole di pietra, fabbricate sulla roccia, si aggruppavano attorno a qualche costruzione nuova; donne scalze e in cuffia, bambini laceri, ragazzetti semi-nudi, tutto un popolo che pareva sbucato da un sottosuolo lurido e bujo, animava la strada polverosa: tutti susurravano nel vedere don Paulu Decherchi che continuava a distribuire saluti dall’alto del suo cavallo.
Nel passare davanti ad una casa antica, meno povera delle altre, egli si irrigidì, fece caracollare il cavallo, e guardò le finestruole munite d’inferriata. In quella casetta abitava la sorella del rettore, una vecchia molto ricca, la quale appunto doveva prestare i denari al cavaliere spiantato. Ma nessuno apparve alle finestre ed egli passò oltre; il suo amico abitava in fondo alla straducola, in una casetta costrutta sopra la roccia, in fondo ad un cortile aperto.