Pagina:L'edera (romanzo).djvu/95


l’edera 93

fra otto giorni la Banca agricola avrebbe inesorabilmente messo all’asta la vecchia casa e l’ultima tanca della famiglia Decherchi.



L’indomani all’alba ripartì, e verso le dieci arrivò al paese di Ballore. Il tempo s’era improvvisamente rinfrescato: sembrava d’autunno. Egli non si sentiva più allegro come il giorno prima: la sbornia gli aveva lasciato la bocca acre e la gola arida. Ricordava le due ore passate nel retrobottega della vedova come un sogno eccitante: il vino, le storielle dell’amico, la presenza di Zana che ogni tanto entrava e con qualche scusa si tratteneva presso la tavola, lo avevano reso folle e incosciente come nei beati tempi della sua prima giovinezza. Nonostante le proteste di don Peu egli aveva voluto pagare una bottiglia, e per pagarla aveva tirato fuori un marengo, e siccome la vedova non aveva abbastanza spiccioli per il resto, egli aveva detto:

— Bene, mi darai il resto quando ripasserò, fra tre giorni.

Zana voleva fargli credito, don Peu voleva prestargli gli spiccioli: egli finse di stizzirsi. L’amico credette che egli facesse lo splendido per cattivarsi l’animo di Zana, e guardò ridendo la fotografia.

In viaggio Paulu ricordava la figura alta e bella della vedova, il suo viso roseo, le labbra voluttuose;