Pagina:L'edera (romanzo).djvu/92

90 l’edera


— Non giurare. Non resto, — replicò Paulu. Invece rimase. Don Peu era uno di quei nobili sardi che, se occorre, non sdegnano di lavorare la terra, ma che per lo più vivono oziosi, in attesa di un amico o di un ospite col quale bere e chiacchierare lungamente.

Afferrò Paulu come una preda, lo portò in giro per il paese, d’osteria in osteria. Bevettero molto entrambi, e Paulu continuò a mostrarsi allegro, e cominciò a raccontare molte fandonie: disse che i suoi affari andavano benissimo, e che il vecchio asmatico gli aveva consegnato le sue cartelle perchè se ne servisse a suo piacere.

— Vedi, — disse, guardandosi il vestito di stoffa inglese finissima, ma goffamente tagliato, — questo vestito me lo ha regalato lui, zio Zua: cioè mi ha regalato cento lire dicendomi di comprarmi un vestito.

— Avete fatto molto bene a prendervi quell’uomo in casa, — disse don Peu, palpando la stoffa della giacca. — Dopo tutto, però, anche voi gli volete bene: se capitava in altra famiglia lo ammazzavano. Zana, ocri madura1, porta un’altra bottiglia di quel diavoletto di moscato.

Zana, una bella vedova dai grandi occhi nerissimi, lasciò il banco della sua botteguccia, nella quale s’ammucchiavano i generi più disparati, ed entrò nella piccola retrobottega dove s’erano rifugiati i due nobili amici. Questa retrobottega, che

  1. Dagli occhi grandi.