Pagina:L'edera (romanzo).djvu/84

82 l’edera


— Lasciami andare: il vecchio aspetta.

— Lascialo aspettare: sarebbe meglio che morisse una buona volta... Se egli muore i padroni potranno finalmente darmi i denari che mi devono, e potremo sposarci. Ma intanto, Annesa, sta qui con me un momento. Tu fuggi sempre... Si direbbe che hai paura.

— Ho paura, sì, — ella rispose, un po’ ironica.

— Sei onesta, lo so: e questo mi piace. Ma qualche volta puoi stare con me...

— Lasciami — ella insistè, con voce aspra.

— Torna, Annesa; ti aspetto... — egli supplicò. Fra due o tre giorni devo partire. Se non ci vediamo stasera non potremo vederci più. Vieni, Annesa...

— Lasciami: vedrò.

Egli la lasciò, ma ella non uscì più: anzi si affrettò a richiudere l’uscio col catenaccio, e non rispose ai lamenti e alle imprecazioni del vecchio.

L’indomani mattina per tempo gli ospiti partirono e anche il servo dovette andare sulla montagna per ricondurre il cavallo di Paulu.

Passata la festa, la vita in casa Decherchi riprese il solito corso monotono e triste. I due nonni andavano in chiesa, poi si trattenevano a lungo coi loro vecchi amici, seduti sulle panche di pietra davanti alla porta del Municipio. Di sera, invece, sedevano davanti alla porta di casa, e qualche volta prete Virdis teneva loro compagnia.

Paulu aveva anch’egli i suoi amici, i suoi affari, i suoi intrighi, e quando stava in paese ritornava a casa solo a mezzogiorno e alla sera.