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70 l’edera


— Ebbene, avvolgimi questa roba in un fazzoletto: la porterò a casa.

— A chi? A Gantine tuo?

— Gantine suo? Eccolo qui! — esclamò ziu Castigu.

Infatti il giovine servo entrava in quel momento. Vestito a festa, col corsetto rosso orlato d’azzurro, sbarbato e coi capelli lucidi e lisci, ricadenti sulle orecchie a guisa d’una cuffia di raso nero, Gantine appariva più grazioso del solito, e Annesa lo guardò con tenerezza quasi materna.

— Ho saputo ch’eri qui, — egli le disse, con mal celata gelosia. — Andiamo fuori. Andiamo. Donna Rachele ti aspetta; ha bisogno di te.

Le parole erano semplici, ma la voce insolitamente amara. Che aveva Gantine? Sembrava un po’ triste e diffidente; e Annesa si turbò, ma al solito seppe fingere, ed anzi si mostrò offesa.

— Donna Rachele sa quando devo tornare, disse lentamente. — Tornerò a casa quando mi piacerà.

— Tu vieni subito con me, — ripetè Gantine, facendosi pallido. — Ziu Castigu, diteglielo voi.

— Gantine è geloso! — esclamò beffardo il giovane dal tagliere. — Va, bellina, va. Egli ti comprerà il torrone. Del resto hai torto, Gantine. Siamo tutti fratelli, qui, non siamo stranieri, e nessuno tenta rubarti la tua colomba.

— Fratelli? Gente tua, morte tua... — rispose Gantine: poi parve pentirsi della sua frase, e rise, d’un riso forzato.